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Il mio diario di moda sostenibile – l’articolo del New York Times

SETTIMANA 2

Ecco i miei pensieri di questa settimana relative al mondo della moda sostenibile. Si è fatto un gran parlare dell’articolo comparso ancora a fine settembre sul New York Times sul fenomeno del lavoro nero nel sud Italia per il mercato del lusso: donne che cuciono a mano capi destinati a venir venduti a cifre a svariati zeri e che vengono pagate poche manciate di euro, senza un contratto regolare e senza nessuna tutela. Un specie di Bangladesh sommerso… dietro casa nostra.

L’articolo del NYT: Cosa ne penso?

Mi sono letta tutto l’articolo e devo dire che alcuni del marchi citati mi hanno lasciata a bocca aperta. E’ difficile aspettarsi che in Italia (non in Bangladesh), in cui esistono i sindacati, in cui esistono tutele e contratti di lavoro, ci siano donne che, per poter restare a casa a prendersi cura dei figli, pur di lavorare accettino di venire pagate una miseria per beni che verranno venduti come articoli di lusso (sorvoliamo sul prezzo al pubblico di quello che verrà realizzato da quelle mani).

Fonte Il Post

E quindi come dobbiamo fare?

Ma allora se il fast fashion sfrutta i poveri cristi in Bangladesh e Cambogia e in Italia i marchi di lusso sfruttano le donne del sud, noi che vogliamo vestirci in modo etico e che magari siamo disposti anche a spendere qualcosa di più, dove dobbiamo sbattere la testa?

Ecco due spiragli di luce di cui io sono a conoscenza e che voglio condividere con voi, relativamente al mercato del lusso. Ci sono aziende che si dichiarano etiche e sostenibili e che hanno le certificazioni del caso. Ad esempio, la società realizzata da Livia Firth (sì, lei, la moglie di Colin Firth, l’attore de “Il Discorso del Re”) Eco Age, fa consulenza in questo senso. Tra i suoi clienti ci sono Gucci, Chopard e Swarowksky, solo per citarne alcuni. Il secondo spiraglio è l’esistenza di una certificazione che rende possibile sapere se un’azienda lavora in modo etico o no e che richiede la verifica anche dei subfornitori. Si tratta della SA 8000, di cui vi avevo parlato anche nel post della settimana scorsa. Gucci ce l’ha, e infatti nell’articolo del NYT viene riportato il fatto che nelle aziende dei subfornitori veniva regolarmente mandato del personale per verificare le condizioni di lavoro.

Mi rendo conto che sia un po’ poco, ma è sempre un punto di partenza che ci aiuta ad orientarci un pochino. 

Fonte 

PARentesi: Acquisti della settimana

Ho dovuto comprare per Amelia il necessario per andare a lezione di nuoto con la scuola… e sono finita da Decathlon, perchè non sono riuscita ad organizzarmi prima per cercare costume e cuffia che fossero sostenibili. Metto i capi sportivi nell’elenco di quelli da trovare in versione sostenibile. Ho già cominciato a lavorarci aiutata dalla mia amica Denise, vi terrò aggiornati anche su questo fronte.

Vi aspetto la prossima settimana per condividere con voi le mie scoperte a tema sostenibilità.

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