Della fast fashion si parla moltissimo, soprattutto adesso che tutti i riflettori sono puntati verso la moda sostenibile. Ma cos’è la fast fashion? Cosa vuol dire? In questo post cerco di spiegarvelo in modo facile.
Cos’è la fast fashion?
Fast fashion letteralmente vuol dire “moda veloce”: ma veloce rispetto a cosa? Rispetto a quella che oggi viene definita “slow fashion”, ossia la moda lenta, artigianale, che realizza capi che durano per sempre o almeno per molto tempo. Bene: ragionateci un attimo. Se siete nati prima degli anni ’90, ricorderete che questo modo di pensare alla moda una volta era normale. Si faceva shopping due volte l’anno, una a settembre prima della scuola o della ripresa del lavoro per i capi invernali e una più o meno a Pasqua, o al più tardi dopo la fine della scuola, per i capi estivi e freschi. E (incredibile se si pensa al modo di acquistare a cui siamo abituati oggi) quello shopping durava mesi, se non anni. L’abitudine di comprare la magliettina a poco per il gusto di cambiarsi spesso non c’era. C’era invece quella di passarsi i vestiti in famiglia o tra amiche, per cerimonie, eventi, ma non solo. Insomma, quello che adesso si chiama second hand, o swapping.
Cos’è cambiato nel tempo?
C’era anche l’abitudine a guardare per bene un capo prima di acquistarlo, di pensarlo all’interno del nostro guardaroba per vedere se si inseriva in modo armonico, se non ci avrebbe costretto a comprare altre cose per abbinarlo. Oppure, si acquistavano completi interi quando era ora di fare acquisti “importanti”, proprio per non avere il problema di non sapere come abbinare tra loro i vari pezzi. Si acquistava meno e si acquistava meglio. C’è da aggiungere che non c’era un impiego così massiccio delle fibre sintetiche di derivazione artificiale (poliestere, acrilico e affini), che sono esplose dopo gli anni 2000 e per ovvie ragioni (tra qualche paragrafo ci arrivo).
Una volta era facile trovare una zia, una nonna, un’amica di famiglia che accorciasse, allungasse, stringesse, rammendasse, riadattasse un abito. Adesso, pensateci, non è così facile trovare una sarta. O meglio, non lo era fino a prima della pandemia: negli ultimi mesi ho visto fiorire, con mio grande piacere, piccole botteghe di riparazioni e sartoria anche in cento città. Questo vuol dire solo una cosa: che alla gente interessa far riparare un capo o farlo modificare, perché ne riconosce il valore e vuole farlo durare. Forse la pandemia, costringendoci ad una riduzione forzata dei consumi, ci ha fatto riflettere di più su quello che acquistiamo. È un mio pensiero, ovviamente, un ragionamento che ho fatto tra me e me in questi mesi e che condivido con voi.
Cos’è la fast fashion: com’è nata
La fast fashion comincia a prendere piede negli ultimi vent’anni. Il cambiamento principale che ha introdotto è stato quello di proporre nuove collezioni molto più spesso rispetto a quella che era la prassi comune. Quindi non più due collezioni l’anno, o quattro/cinque nei casi dell’aggiunta delle collezioni Cruise o dei pronti moda, ma una al mese, quindi 12 all’anno, fino ad arrivare addirittura ad una alla settimana, quindi più di 50 collezioni l’anno. È agghiacciante pensare che oggi le meccaniche dei colossi come Zara o H&M sono state perfino superate da altri colossi come Shein, che hanno ulteriormente ridotto le tempistiche portandole perfino ad essere quasi giornaliere (e realizzando fatturati da capogiro).
Cosa cambia nel processo produttivo?
È abbastanza immediato capirlo: se la produzione deve sostenere un ritmo così veloce dal disegno della collezione alla sua messa a scaffale, vuol dire che tutti gli step intermedi devono essere altrettanto veloci. I prezzi devono necessariamente essere abbassati e come si può fare? Tagliando dove possibile: nella materia prima e nella manodopera. Ecco allora che si cominciano ad utilizzare in modo massiccio le fibre sintetiche e si delocalizza la produzione. Una volta, Zara produceva in Spagna: ho alcuni abiti made in Spain, giuro, che mi sono stati passati da mia mamma, che li aveva acquistati a Milano, quando aveva aperto uno dei primi punti vendita in Italia. Sembra un secolo fa, mentre stiamo parlando del 2002. Sono durati… quindi venivano realizzati in modo diverso.
Cosa cambia nel nostro modo di acquistare?
Il know how, l’artigianalità, l’attenzione ai dettagli e alle finiture non importa più: quello che importa è “indurre in tentazione”, spingerci ad acquistare perché il prezzo è basso e quel capo, semplicemente, ci invoglia. Se poi durerà il tempo di tre o quattro lavaggi prima di sfilacciarsi e rovinarsi, non importa, ce ne sarà a scaffale un altro simile a sostituirlo, oppure ne troveremo uno ancora più alla moda. In questo hanno giocato un ruolo determinante gli influencers, altra categoria nata ed esplosa negli ultimi 10/15 anni, prima totalmente inesistente. Il fast fashion è andato a braccetto con questo nuovo modo do comunicare e di generare un bisogno e gli influencers sono stati gli ambassador ideali, magari all’inizio inconsapevolmente, poi sempre più a ragion veduta.
Cosa cambia nella nostra percezione della moda?
Lo spiega benissimo Elizabeth Cline nel suo libro “Siete pazzi ad indossarlo”: spendere poco per un capo all’apparenza bello diventa un affare.
- “Che carina quella maglietta!”
- “Oh grazie, l’ho presa da XXX, l’ho pagata una cavolata!”
Quante volte abbiamo fatto o sentito fare questo discorso? Io lo ammetto: spesso, molto spesso. Solo che il presso “cavolata” di quella maglietta nascondeva tante cose orribili: lavoratori sfruttati, terreni coltivati a suon di pesticidi, coloranti tossici, una montagna di rifiuti nelle discariche o sversati in mare. Solo che siccome tutto questo succede in un lato del mondo che i riflettori non illuminano mai, da questo lato del mondo noi non vediamo nulla. Lo dico io per prima: prima di vedere “The True Cost”, ignoravo anch’io tutti questi meccanismi, ero anche io una rotella di questo ingranaggio.
Con la moda fast, diventa normale spendere poco e anormale spendere tanto. Che poi, tanto rispetto a cosa? Il lavoro umano e la materia prima hanno un prezzo: come mi ha detto una volta la fondatrice di un brand sostenibile con cui ho avuto modo di confrontarmi, “non è la moda sostenibile che costa tanto, ma il fast fashion che costa poco.” Il confronto tra un capo sostenibile, non deve essere fatto con un capo fast fashion, ma con un capo di lusso: spesso i laboratori che producono sono perfino gli stessi, ma dove un capo di lusso costa 2000, un capo analogo di un band sostenibile costa 200. Nel fast fashion probabilmente costa 25. Non vi sembra che ci sia qualcosa che non torna? Ah, non mi addentro nemmeno nell’argomento rifiuti: immaginate il cambi stagione con relativi borsoni di roba smessa e moltiplicatelo su scala globale. Montagne di fibre tessili, la stragrande maggioranza delle quali (il 99%) impossibili da recuperare perché miste o sintetiche e quindi destinate alla discarica.
Fast fashion: il cambiamento psicologico, dal nostro armadio alla nostra vita
Non voglio suonarvi catastrofista eh, voglio solo farvi riflettere. Secondo me, il paragone cibo e moda calza molto bene, come suggerisce anche Dario Casalini nel suo libro “Vestire buono, pulito e giusto“. Pensate al fast food: mangiate cibo di qualità più o meno scadente, in quantità sempre più XXL, più o meno tutto con lo stesso sapore. A lungo andare, cominciate ad avere danni collaterali, come sovrappeso e tutti i problemi ad esso collegati. Se invece mangiate frutta e verdura stagionali che comprate al mercato, la vostra alimentazione sarà più varia e potrete scegliere quello che veramente vi piace. La vostra salute ne guadagnerà e starete meglio. Ok, mi rendo conto che detto così è semplicistico, ma è solo per farvi ragionare.
Lavoro con tantissime donne che hanno “l’armadio pieno e mai niente da mettere” (mai detta questa frase?). Perché? Perché hanno acquistato spesso spinte dalla tentazione del prezzo basso, della moda, del voler avere qualcosa di nuovo, senza domandarsi se quei capi c’entrassero con tutto il resto. Risultato: armadi pieni, coerenza poca, tempo e soldi spesi tanti, il tutto con buona pace del nostro stile personale. Non sarebbe stato meglio fare acquisti più durevoli e ragionati fin dall’inizio? Avete presenta Marie Kondo, che parte dal decluttering per far vivere meglio le persone con cui lavora? Ecco, io non sono così drastica, ma di certo avere meno capi, di buona qualità e che effettivamente indossiamo è un ottimo passo avanti per fare ordine prima nel nostro guardaroba, poi nella nostra testa e infine, per traslato, anche nella nostra vita.
6 risposte
Grazie di questi articoli ! Sono assolutamente d’accordo con te su tutto.
Cara Claudia, grazie a te per il tuo tempo!
Ho 63 anni e ho visto passare e tornare mode da quando ero ragazza ad oggi ..Il problema secondo me è che ,mentre prima ,nelle grandi firme della moda si spendeva parecchio ma si avevano in cambio capi di qualità made in Italy ( per davvero), e tessuti preziosi come pura seta lino o anche solo cotone ,e fin qui va bene,.ora anche queste case da cui mi servivo usano molto poliestere e acrilici vari ,uno striminzito 10 % lana ,seta ecc e assemblano tutto in Cina per i noti problemi di gestione .Allora una si chiede ;spendere tanto per avere il marchio ma non più la qualità ,vale la pena ? trovo quello che mi piace anche su Shein che oltre ad emerite schifezze produce anche cose carine anche per Curvy .Non che sia contenta di sostenere il mercato cinese ovvio ,ma ormai…..alternativa è spendere veramente tanto ,tipo 500 euro per un abito ma chi se lo può più permettere?
Ciao Alessandra, ti do ragione sul fatto che dei grossi brand a volte è meglio non fidarsi. Per questo insisto tanto sul leggere le etichette. A mio avviso, non serve comprare qualcosa di marca: serve che sia fatto bene e in un buon tessuto. Purtroppo il fast fashion produrrà anche per i fisici morbidi, ma la qualità lascia a desiderare: perché non provi a vedere se magari c’è qualche brava sarta che riesce a farti un abito nel modello che vuoi tu, con il tessuto che vuoi tu? Le finiture sarebbero tutt’altra cosa e varrebbe i soldi spesi…
A gennaio mia cara compio 60 anni, vero quindi che sono ageé, onde per cui poche volte sono tentata dal fast. Compro poco al market, molto dal fruttivendolo, macellaio, fornaio e per gli abiti ne ho vecchi, ancora belli. Quando compro prendo capi “sempreverdi” e penso sempre all’abbinamento con cose che ho già
Bravissima Stefania 💕